domenica 18 agosto 2013

Acido Lattico - Il Domenicale #21




50 SFUMATURE DI GIALLO



Il secondino mi passa la scatola con i miei vestiti. C’è anche la maglia gialla che mi ha regalato Mara, la mia donna: la indossavo quando mi hanno arrestato.

Per me è gialla, ma gli uomini tendono sempre a semplificare. Per Mara infatti è una maglia color senape. Una volta le ho chiesto quante sfumature di giallo conoscesse e mi ha snocciolato una lista infinita di colori per me misteriosi: sabbia, ocra, lime, ambra... A quel punto l’ho interrotta: eravamo su due pianeti diversi, ma m’illudevo che non sarebbe mai stato un problema.

Il giallo è il mio colore preferito. Mi ricorda quando, da bambino, correvo tra i campi di grano illuminati dal sole. Con i miei amici ci nascondevamo in un casolare abbandonato, dal tetto ammiravamo il mare d’oro che s’increspava a ogni colpo di vento. Nel casolare c’era una botola che portava a uno stanzino: in tempo di guerra lo usavano i partigiani per nascondersi dai tedeschi. Io mi ci rifugiavo quando scappavo di casa per sfuggire alle botte di mio padre.

Indosso la maglia gialla e mi sento finalmente libero. Ero dentro per traffico di droga: facevo il corriere per i fratelli Grenci. Mi avevano preso con loro quando ero appena maggiorenne: immigrato dalla Calabria senz'arte nè parte, avevo lasciato la scuola quando avevo capito che volevo tutto subito senza sudare sui libri. I Grenci mi avevano preso in simpatia perchè venivo dalla loro terra, poi mi avevano affidato le consegne perchè con la mia faccia pulita non destavo sospetti. Giravo con uno zainetto pieno di soldi, m’incontravo coi fornitori, valutavo la roba, pagavo e tornavo con decine di sacchetti di coca.

Il giorno che mi presero, i poliziotti avevano seguito i fornitori fino al capannone dove si svolgeva lo scambio. Gli agenti spuntarono fuori all'improvviso prima che avvenisse la consegna e ci intimarono di arrenderci. I trafficanti tirarono fuori un arsenale e scatenarono un inferno di fuoco. Ne approfittai per scappare, raggiunsi l’auto e fuggii veloce.

M’imbattei in un posto di blocco, lo forzai e riuscii a passare, ma danneggiai l’auto. Dopo pochi km mi piantò in asso in una stradina in mezzo ai campi. Corsi attraverso le spighe di grano, come quando ero bambino, e dopo un paio d’ore arrivai a casa di Mara.

Le stavo spiegando l’accaduto, quando i poliziotti fecero irruzione nell’appartamento e mi arrestarono. Le accuse contro di me non erano gravissime: non avevo sparato, nessun agente era morto e i soldi non si trovavano, mancava la prova decisiva che stavo comprando la droga. Me la cavai con pochi anni di carcere.

I Grenci inviarono in carcere i loro emissari: volevano capire se m’ero tenuto i loro soldi, quasi un milione di euro. Io ripetevo sempre che non sapevo dove fossero, che sicuramente i poliziotti s'erano tenuti il bottino.
Gli scagnozzi dei Grenci fecero visita anche a Mara, pensando di trovare il denaro. La massacrarono di botte, mentre lei giurava di non saperne niente. Non so se si erano convinti della mia innocenza, ma negli ultimi anni mi avevano lasciato in pace.

Il punto è che il denaro ce l’ho davvero io. All’inizio non volevo fregare i Grenci. Quando ero fuggito in mezzo ai campi ero riuscito a portarmi dietro lo zainetto. L’auto s’era fermata vicino al casolare dove giocavo da bambino. Ero entrato nello stanzino e avevo lasciato i soldi lì, poi ero corso da Mara. I poliziotti non mi avevano lasciato il tempo di avvertire i Grenci e m’ero ritrovato in galera.

I soldi nascosti mi avevano risparmiato qualche anno di carcere. Poi avevo capito che erano la mia assicurazione sulla vita: se i Grenci li avessero recuperati sarei stato solo un pericolo, chiuso in cella con la tentazione di tradirli. In galera avevano molti amici, potevano farmi fuori quando volevano. Non parlai mai, neanche quando i poliziotti m’interrogarono a manganellate.

Ora sono fuori e mi gioco il tutto per tutto. Il mio piano è rischioso, ma può sistemarmi per il resto della vita. Mi accerto di non essere seguito e vado a recuperare il denaro. Il casolare è la stessa isola di pietra in un mare giallo: paglierino, dorato? Chissenefrega, per me è solo giallo, non ho bisogno di sfumature. Ho un sussulto quando vedo che i soldi sono ancora nello stanzino.

Arrivo da Mara. Abbiamo finto d’esserci lasciati, lei ha iniziato a frequentare un figlio di papà che bazzica il night dove lavora come ballerina. Mi sta aspettando. Spero che abbia quel che le ho chiesto: armi cariche, qualche vestito e un auto per fuggire.

Suono il campanello, quando mi apre ho un tuffo al cuore. É ancora più bella di come l’ho sognata in questi mesi. Poso la borsa coi soldi.
- Dove sono i vestiti? E le pistole?
Si china su una valigia piena di abiti, offrendomi la vista della sua schiena sinuosa. Non capisco più nulla, l’afferro con foga e la bacio come se nelle sue labbra ci fosse l’antidoto per un veleno che mi sta uccidendo. Le armi possono aspettare, in un lampo siamo sul divano e ci strappiamo i vestiti di dosso.

É stata la scopata più bella della mia vita, ora mi godo una sigaretta mentre Mara è in bagno. Sento un rumore sospetto fuori dall’appartamento. Mi affaccio alla finestra, mi sembra di scorgere un’ombra. Corro al bagno.
- Rimani chiusa dentro. Dove sono le pistole?
- In camera, nella scatola color papaia.
Ma che cazzo di colore è il papaia? Vorrei chiedere lumi, ma sento entrare qualcuno. Mi precipito in camera, apro l’armadio e rimango di merda: è pieno di scatole di diversi toni di giallo. La prima è come la mia maglia, senape, la escludo subito. Apro la seconda: borse di Mara. Passo alla terza: lenzuola. Nella quarta intravedo la canna d’una pistola. Non faccio in tempo a cantare vittoria che due braccia mi afferrano e mi scaraventano contro il muro.

Mi rialzo e mi trovo davanti Bruno Grenci che mi punta addosso la sua pistola. Con un ghigno beffardo mi mostra la borsa coi soldi e carica il colpo. Non è come si crede, non vedo scorrermi davanti agli occhi il film della mia vita. Riesco solo a formulare un pensiero di merda: me ne vado da questo mondo infame, ma almeno ho scoperto quale cazzo è il color papaia.

(Andrea Michielotto)