domenica 19 maggio 2013

Acido Lattico - Il Domenicale #8



 IL MUSEO DELLA FILA


Torino, 27 aprile 2013. Ore 18.30
Sono sotto la Mole, a 53 metri dall'ingresso del Museo Nazionale del Cinema.
A dividermi dall'entrata una massa di circa duecento persone incanalate in un pregevole esemplare di “fila”.
La “fila” non è nient'altro che l'applicazione concreta di una semplice regola di civiltà: entra prima chi arriva prima.
Sebbene la regola – almeno all'apparenza – sia davvero di una banalità sconcertante, non tutti riescono a comprenderla pienamente e le file finiscono spesso per essere teatri di accese dispute dall'elevato tenore intellettuale.

Per esempio:
- Strunz' livete d'innanze ca ce steve prime i!
[Gentil uomo, potrebbe cortesemente scostarsi per rendermi il mio legittimo posto nella fila?]
- Ma ne rump' u cazz, ca steve allu cess'!
[Le assicuro che ero già in fila prima di Lei. Mi ero solo assentato un minuto per recarmi alla toeletta].

Oppure:
- Mi scusi, mi lascerebbe passare avanti? Sono incinta!
- Certo che sì, però, sinceramente: non si direbbe proprio che è incinta! Quanti mesi?
- Sono incinta ipoteticamente: oggi non ho preso la pillola, ma mi sono fatta uno.
- Capisco: come il gatto di Schrödinger...
- No, a smorzacandela.

Mentre mi sforzavo di leggere un cartello che diceva: “Se non riesci a leggere questo cartello, da lì sono almeno 2 ore di fila” mi si accosta un uomo bruno, di media altezza, dal fisico prestante, con un volto espressivo e rassicurante, un folto paio di baffi e che mi ricordava in tutto e per tutto Pierfrancesco Favino (ho scoperto solo successivamente che si trattava in realtà di Beppe Fiorello: sta girando una fiction sulla vita di Pierfrancesco Favino e si calava nel personaggio).

- Scusi, è libero questo posto?
- Cosa?
- Dico, il posto dietro di Lei. È libero?
- Sì, certo. Si accomodi pure.
- Bene: sono arrivato appena in tempo.
- Beh, veramente il museo oggi chiude alle 23, quindi di tempo ce n'è molto ancora.
- Sì, ma alle 21 mi chiude la fila per l'Egizio e non vorrei perdermela.
- Beh, in questo caso... non so se riuscirà ad arrivare in tempo! Da qui, sono almeno due ore di fila, come dice quel cartello che non riesco a leggere. Ci metta almeno un'ora e mezza per la visita del museo – ma dicono che ce ne vogliano almeno due per gustarselo come si deve... E sono già le dieci passate!
- No, ma io non lo visito mica il museo. Faccio solo la fila.
[Lo guardo sconcertato come se mi avesse appena detto che è lì solo per fare la fila].
- Scusi?
- Sì, per fare la fila. Faccio questa e poi La saluto e corro al Museo Egizio. Se ho fatto bene i conti dovrei arrivare lì per le nove meno un quarto, giusto appena prima che chiudano la fila.
- Mi perdoni ma non la seguo. Che senso ha fare la fila se poi non visita il museo?
- Semplice: trovo molto più interessante “visitare le file”. Le file sono, in realtà, dei veri reperti antropologici. Ed ogni fila è diversa dall'altra, mi creda. Ci sono le file per le poste, per il gabinetto, per entrare in un museo – appunto – per il gabinetto nel museo...
- Non ci trovo niente di interessante.
- Le assicuro che si sbaglia. È solo che non ha ancora imparato a vedere le file per quello che sono.
- E cosa sono?
- Una vetrina delle diverse personalità umane che io chiamo “il museo della fila”. Vede: quando si è all'interno di una fila, si è costretti a stare a contatto con dei perfetti estranei, anche per qualche ora. Ha presente quando, dentro ad un ascensore, si finisce per parlare del tempo? Accade perché nessuno vuole scoprirsi troppo con degli sconosciuti e si sceglie un argomento neutro. Beh, quando si è in fila, non è facile rifugiarsi così. O almeno non per molto. Prima o poi si è costretti ad uscire fuori dal proprio guscio. E a parlare di politica, per esempio, magari esponendosi poco, con frasi generiche. Ma il tempo passa e bisogna cercare di occuparlo in qualche modo.
- E se uno si mette a ciappinare con lo smartphone?
- Sì, purtroppo queste nuove tecnologie mi stanno un po' rovinato il gioco. Ed è per questo che mi scelgo le file più lunghe: alla fine la batteria si scarica! E poi non creda che non sia molto interessante anche osservare quelli che passano tutto il tempo a twittare. “Sono in #fila.  #cosenoiose”. “Una #fila lunghissima. #cosemaiviste”. “Ma ne varrà la pena di fare tutta questa #fila? #dubbiamletici”. “Non capisco proprio a che serve tutta questa #fila. #chiediloalpapa”. E comunque, in ogni fila, c'è sempre qualcuno che ha voglia di parlare, che è tutto solo e che importunerà la persona che gli è accanto. Come sto facendo io con Lei.
- Ma che dice, non mi sta importunando affatto...
- Lei è molto cortese. Ma l'avevo capito alla prima occhiata. Per questo mi sono messo in fila accanto a Lei: volevo analizzare da vicino un esemplare del suo tipo.
- E di che tipo sarei, scusi?
- Lei è il classico bravo ragazzo: quando è in fila, se viene superato da qualcuno, si sente a disagio persino a borbottare. L'ho vista prima mentre veniva agilmente scalzato da quel biondo sudtirolese e dal suo pingue figliolo. I sudtirolesi sono un po' i napoletani del nord Italia.
- Mi perdoni ma queste parole sono un po' offensive...
- Non dica sciocchezze! Sa cosa credo io, invece?
- Cosa?
- Che lei mi stia adoperando quale finzione letteraria per prendersela con i sudtirolesi ed i napoletani usandomi come schermo.
- Questo dialogo sta prendendo una piega metanarrativa che non mi piace.
- Mi lasci spiegare: io non ho niente contro i napoletani. La cultura della fila è diversa in ogni luogo. Pensi che in Inghilterra fanno la fila per entrare in autobus! Il punto è questo: se vivi a Napoli devi affrontare la fila in un'ottica diversa. Non importa chi si è messo in fila per primo, ma solo chi arriva per primo fino in fondo. Conosco la storia di un ragazzino napoletano ben educato che era entrato in ufficio postale per spedire un reclamo alla Walt Disney, contro un episodio di Topolino a suo dire un po' maschilista. Tutti lo superavano senza ritegno e lui restava lì ad aspettare il suo turno che non arrivava mai.
- E com'è finita la storia?
- Quando è arrivato allo sportello ha ritirato la sua prima pensione.

Alla fine mi ha convinto e l'ho seguito per vedere la fila al Museo Egizio.
So che a molti questa storia può sembrare inverosimile: ma è solo perché non avete visto com'è convincente Beppe Fiorello nei panni di Pierfrancesco Favino.

(Francesco Conte)